Generalmente i ciclisti presentano una casistica di problemi
ed infortuni spesso correlati alla loro ricerca di una maggior efficienza di
pedalata. Spesso però questi allenamenti e/o utilizzo di determinati
accorgimenti “tecnici” (volutamente in virgolettato) riducono l’efficienza e
sono potenzialmente nocivi non solo all’efficienza stessa ma,
specie in presenza di assetti posturali incorretti, possono anche portare a:
- problematiche articolari del ginocchio
- sindrome da sovraccarico flessori dell’anca (psoas)
- algia tratto lombare
- irritazioni gastriche generate dalla tensione dello psoas causate da alterazione/compressione (di origine nervosa) catena del sistema simpatico
La tecnica di pedalata è in parte un esercizio tecnico e
come tale può quindi essere allenato e migliorato ed in parte un gesto innato,
bisogna però sfatare velocemente alcuni “miti”, tra i più rilevanti:
i pedali a sgancio
permettono di generare un’azione favorevole nella fase di risalita
oppure
è necessaria un’azione
attiva di richiamo del pedale dal punto morto inferiore al punto morto superiore
Nel 1997 una ricerca svolta in Francia infatti dimostrò che
l’azione di richiamo tra pedalata con “aggancio” e senza era del tutto
similare, la conclusione fu che l’azione della catena muscolare posteriore
della coscia e dei flessori dell’anca è spesso sopravvalutata poiché l’azione
predominante e con reale effetto propulsivo avviene per azione di glutei e
quadricipite. Il reale vantaggio dei pedali a sgancio è di natura
propriocettiva poiché il contatto continuo con il pedale permette di generare
forze di entità superiore ANCHE aumentando la cadenza di pedalata (Capmal e
Vandewalle, 1997). E’ poi logico e ovvio che l’azione muscolare e la forza
applicata sui 180+180° di pedalata non è continua (l’applicazione della forza è
sinusoidale) e non può esserlo ma può essere migliorato il passaggio attraverso
i punti (più correttamente archi) morti.
Essenzialmente i muscoli che generano il maggior contributo
nella propulsione sono glutei e quadricipiti e l’azione di pedalata a cadenze nella
“norma” (70-100 rpm) è un’azione neuromuscolare con molte similitudini nel pattern
motorio rispetto alla corsa e alla camminata veloce. Come tale “autoseleziona”
la miglior azione muscolare in funzione del carico svolto dei 2 arti in
relazione al punto di pedalata. Va inoltre osservato che la potenza generata,
nella normalità dei casi, non è uguale tra gli arti e questa “asimmetria” è completamente
fisiologica.
Perché quindi è inutile (e pure controproducente) forzare un’azione
muscolare nella fase di richiamo?
In una ricerca svolta da Coyle e collaboratori nel 1991 l’analisi
muscolare EMG (attività muscolare) comparando ciclisti di livello elite e non
elite ha dimostrato che gli atleti di più alto livello avevano una minor
attivazione muscolare nella fase di richiamo (240-360°). Al contrario gli
atleti elite generavano un’azione propulsiva superiore con un maggior arco e
picco di applicazione di forza nel passaggio tra punto morto superiore ed
inferiore con maggiori componenti vettoriali perpendicolari e quindi una maggior
efficienza della forza applicata. Queste conclusioni confermano quanto osservato
da Jorge e Hull nel 1986.
Un ulteriore approfondimento sul questo tema è stato svolto
nel 2000 comparando pedalata in monopodalico (un arto) a pedalata tradizionale:
anche nell’azione monopodalica il gluteo dell’arto non in spinta veniva attivato e ciò nonostante non vi fosse applicazione di spinta (non essendoci
pedale e pedivella su cui spingere).
Questo fenomeno può essere spiegato ampliando le implicazioni
del gesto pedalata su un contesto “posturale” di stabilità pelvica e su uno più
ampio e complesso che coinvolge la neurofisiologia.
Un’instabilità pelvica con relative rotazioni può infatti
essere esacerbata da una contrazione dei flessori dell’anca e/o muscoli
posteriore della coscia (come avviene in una pedalata monopodalica senza controbilanciamento); a livello neurofisiologico invece va considerato che
la corteccia motoria, semplificando, ha uno schema motorio ottimale per il preciso e acquisito compito “pedalare”.
Cercare di riscrivere forzatamente questo schema può comportare un problema di stabilità
posturale (punto precedente) ed una perdita di efficienza nell’azione effettiva
e propulsiva della pedalata. In poche parole, il nostro sistema neuromuscolare,
specie in azioni di alte intensità e maggior richiesta di attivazione di unità
motorie non riesce a coordinare efficacemente e contemporaneamente azione di spinta e ritorno ma è
finalizzato ed ottimizzato a prediligere e mantenere costante l’azione di spinta
effettiva.
I concetti espressi possono sembrare complessi (e ho cercato
di semplificare al massimo!) ma provo a rientrare su esempi più pratici:
pedalare è un azione circolare in cui è richiesta una graduale azione cercando
di massimizzare la fase di spinta SENZA sacrificare l’azione di passaggio nei
punti morti; per fare ciò non è necessario (ed è anzi in contrapposizione all’obiettivo
ricercato) forzare un’azione muscolare di richiamo.
Ciò che è opportuno fare è quindi relativamente semplice: 1)
focalizzarsi sulla fase di spinta poiché questa è la sola fase propulsiva
effettiva 2) cercare di ridurre l’incidenza della massa muscolare e dell’arto SENZA
azione muscolare la fase di ritorno 3) cercare di migliorare il passaggio nei
punti morti -in questo e solo in questo passaggio- con azione dei muscoli
posteriori/flessori.
Cosa fare:
- focalizzarsi sull’azione di spinta e successivo immediato alleggerimento nel passaggio dei punti morti (e solo in questi) http://www.setantacollege.com/wp-content/uploads/Journal_db/Pedaling%20Technique%20and%20Energy%20Cost.pdf (sinossi)
- non preoccuparsi sulla differenza di spinta tra gli arti ma sull’effettivo incremento di potenza che si può generare
- ridurre ogni “rumore” o discontinuità nell’azione dei passaggi nei punti morti
- concentrarsi sul mantenere un’elevata stabilità pelvica, per esempio concentrandosi su una costante e continua pressione di contatto con la sella, evitando rotazioni o basculamento con acuita inversione della curvatura lombare (perdita lordosi)
Cosa NON fare:
- Pedalata monopodalica (a meno di dover recuperare da un infortunio e in questo caso l’azione dev’essere necessariamente svolta con controbilanciamento)
- Focalizzarsi su un’azione muscolare di richiamo
Riferimenti
Bibliografici
Capmal S
and Vandewalle H, “Torque-velocity relationship during cycle ergometer sprints
with and without toe clips”, European Journal of Applied Physiology. 76:
375-379, 1997
Coyle EF, Feltner ME, Kautz SA, Hamilton Mt, Montain SJ, Naylor AM, Abraham LD and Petrek
GW, “Physiological and biomechanical factors associated with elite endurance cycling performance”, Medicine and Science in Sports and Exercise. Vol 23 No 1: 93 – 107, 1990
Jorge M and Hull M “Analysis of EMG measurements during bicycle pedaling”, Journal of Biomechanics. 19: 683-694, 1986
Ting LH,
Kautz SA, Brown DA and Zajac FE, “Contralateral movement and extensor force
generation alter flexion phase muscle coordination in pedalling”, Journal of
Neurobiology. 83 (6): 3351-65, 2000
Pedaling
technique and energy cost in cycling. Leirdal S, Ettema G.Human Movement
Science Programme, Norwegian University of Science and Technology, Trondheim,
Norway, 2011
http://www.bicycle.net/2007/pedaling-technique-basics
http://www.bicycle.net/2007/pedaling-technique-basics