Molteplici fattori contribuiscono ad alterare l’utilizzo di substrati
energetici (metabolismo) durante l’attività motoria. Di seguito
elencherò alcune di queste cause ed un interessante grafico esplicativo.
Fatica
La fatica negli sport di endurance, e quindi anche nel ciclismo,
rappresenta un fenomeno complesso e multifattoriale; non è quindi
semplificabile e collegabile ad un numero limitato di elementi.
Disponibilità dei substrati energetici, idratazione, affaticamento
periferico (muscolare), affaticamento neuromuscolare, motivazione,
stress termico (in positivo o negativo), altitudine, stato di riposo
sono alcuni dei numerosi fattori che alterano la possibilità di
esprimere un esercizio sia in senso qualitativo (intensità) che
quantitativo (volume, durata). La presenza e disponibilità del substrato
energetico glicogeno, tra tutti, è uno dei fattori più rilevanti nel
permettere, o limitare, la prestazione, soprattutto ad intensità
massimali e sub-massimali (ossia non blande). Il sistema nervoso
centrale (SNC, cervello) monitora costantemente il livello di glicogeno
ematico, quanto glicogeno è disponibile a livello muscolare ed epatico,
temperatura esterna e corporea e restituisce feedback sullo stato
generale di disponibilità energetica “qualitativa”. Quando questo
substrato viene a ridursi automaticamente, ed involontariamente, vengono
ad instaurarsi meccanismi di autodifesa, atti a preservare ogni
possibile danno più grave che possa colpire SNC; questo meccanismo di
auto conservazione comporta anche una riduzione del lavoro muscolare (e
quindi della potenza) che si può esprimere.
Come dal grafico qui di seguito (modificato/integrato, dal testo The runner’s body)
, uno stato di minor disponibilità glicogeno comporta una traslazione
verso sinistra tanto maggiore quanto sarà elevato (o percepito) e
“allarmante” lo stato di deplezione.
Nel concreto, ipotizziamo un atleta in grado di esprimere 350W quando
in stato ottimale. Nell’ “ottimale” è sottintesa anche una piena e
completa disponibilità energetica qualitativa, ossia di glicogeno
muscolare ed epatico. Questo stesso atleta dopo 5 ore di attività,
potrebbe arrivare ad una percezione dello sforzo similare ai “20’ in
condizioni ottimali” riuscendo, magari anche con notevoli difficoltà, a
mantenere “solo” 300W per 20′. Questo normale fenomeno può essere
prevenuto, sia pure parzialmente, cercando di mantenere un ottimale
reintegro delle scorte di glicogeno (~ 60-90g carbo/h a seconda delle
miscele e zuccheri utilizzati). A conferma dell’interazione tra
percezione e controllo retroattivo mediato dal SNC vi sono alcuni
interessanti studi che dimostrano come il solo transito nel cavo orale
(senza ingestione) di prodotti zuccherini possa dare un segnale di
“disponibilità” energetica al cervello e influire positivamente sulla
prestazione [1]. Questo fenomeno spesso avviene anche con prodotti
comunemente utilizzati dai ciclisti…con lo svantaggio però di non
apportare un adeguato reintegro sulle quote energetiche necessarie!
Ossia avviene uno stimolo e percezione positiva a fronte di un non
ottimale ed efficiente reintegro calorico. La classica conseguenza di
questa discrepanza tra percezione e reale apporto energetico è un
incremento, momentaneo e breve, della prestazione per poi ricadere in
uno stato di difficoltà.
Anche una medesima intensità sub-massimale è “coperta” da una
differente miscela energetica a seconda della tempistica: un medesimo
lavoro (potenza x determinato lasso di tempo) espresso nella prima ora
andrà ad innescare automaticamente l’utilizzo, per maggior e immediata
disponibilità, di una miscela maggiormente ricca di zuccheri rispetto ad
una medesima intensità dopo, per esempio, 4 ore di allenamento. E’
quindi chiaro come anche medesime intensità rappresentino stimoli
metabolici differenti. Inoltre, in questo caso maggiore sarà la durata
dell’allenamento/gara e maggiore sarà lo shift di utilizzo da trigliceridi muscolari ad acidi grassi rilasciati dall’apporto dato dal tessuto adiposo.
Fitness e stato di allenamento
Un miglioramento del proprio stato di fitness equivale ad un
incremento delle proprie capacità aerobiche, un incremento nelle
dimensioni e numero dei mitocondri a livello muscolare, un miglioramento
nell’efficienza enzimatica con maggior utilizzo di grassi a parità di
intensità rispetto ad un livello di fitness inferiore, un miglioramento
nell’efficienza meccanica muscolare, un affinamento nel controllo e
percezione dello sforzo da parte del SNC.
Tutti questi fattori sono inclusi nel gran calderone degli elementi
che costituiscono gli adattamenti all’allenamento. Tra essi la capacità
di utilizzare una miscela più ricca di grassi (e quindi una minor quota
di zuccheri per unità di tempo) rappresenta un elemento sicuramente di
rilevanza per eventi di durata superiore alle 3-4 ore e/o eventi in cui è
necessaria una elevata ripetibilità di intensità sub massimali. In
questo specifico contesto volume e specificità di carico, per rendere
questa combinazione utile e sostenibile (e quindi da stimolo) è
fondamentale. Quantitativamente si tratta di lavorare ed estendere il
lavoro su intensità che insistano su un intorno (in fisiologia non vi
sono “stati puntiformi”) in cui massimizzare l’utilizzo di grassi per
unità di tempo (LINK
e grafico di seguito). Ovviamente non si può e non si deve lavorare
solamente su questo fattore “estensivo” ma anche sull’incremento delle
capacità massimali aerobiche. Un mix di questi stimoli spesso è anche
vincolato ad esigenze di tempo e logistica (es. inverno, rulli, minor
tempo a disposizione in alcuni fasi dell’anno).
Alimentazione
Tendenzialmente, l’ultimo pasto o alimento rappresenta il surplus di
utilizzo oltre alle scorte (se adeguatamente riempite) di glicogeno
epatico e muscolare; in ogni caso il glicogeno rappresenta una fonte
energetica limitata; a questo substrato ovviamente si aggiunge quello
dei grassi che al contrario è pressoché inesauribile anche in atleti con
basse percentuali di massa grassa. Se le riserve di glicogeno sono
insufficienti questa limitazione andrà a ridurre le intensità
sostenibili in allenamento oltre ad incrementare e a rendere precoce
l’utilizzo di miscele più ricche di grassi, con conseguente riduzione
delle intensità sostenibili. Anche in questo caso, come precedentemente
descritto, si tratta di un processo di autoconservazione poiché il
cervello necessità di glicogeno e tende a preservare una quota di questo
prezioso substrato.
Queste dinamiche ovviamente danno ragion d’essere al principio che il
primo pasto post allenamento/gara rappresenta un punto cruciale per
poter tamponare le perdite di zuccheri ed essere pronti ad un ottimale
recupero, funzionale per i successivi allenamenti. Come descritto in
questo articolo (LINK) è prioritaria la tempistica ma anche un graduale e continuo reintegro.
All’estremo opposto si verifica la situazione in cui l’atleta tende
ad alimentarsi eccessivamente PRIMA dell’allenamento e/o evento di gara.
Anche in questo caso, paradossalmente, può avvenire un calo della
prestazione in questo caso legato a fattori ormonali, nello specifico
relativamente al rilascio di insulina. Un elevato tasso di insulina è
ottimale DOPO l’esercizio/attività; al contrario se tale processo è
attivo prima o durante l’attività stessa avviene un contrasto con
l’ormone glucagone, antagonista dell’insulina, che svolge l’importante
azione di attivazione della degradazione del glicogeno (glicogenolisi).
Cadenza
E’ un fattore secondario ma comunque da considerare poiché presuppone
differente applicazioni di coppie torcenti e di conseguenza differente
reclutamento di unità motorie, a parità di intensità. La cadenza auto
scelta rappresenta, nella maggior parte degli atleti, una sequenza di
attivazione e rilassamento muscolare in cui tendiamo ad essere più
economici e quindi, sempre inconsciamente e senza il nostro controllo,
ci porta ad utilizzare un’ottimale miscela di substrati in funzione
dell’intensità (potenza) obiettivo.
Una cadenza leggermente superiore a quella che andremmo ad utilizzare
(es. +5 rpm) è un utile stimolo per ridurre, parzialmente, il
reclutamento di fibre veloci, meno efficienti e che necessitano di
maggior energia proveniente dalla scissione di glicogeno. Oltre questo
incremento di cadenza e/o senza un adeguato adattamento incorriamo nel
rischio di mantenere un maggior reclutamento delle fibre lente, più
economiche, ma riducendo l’efficienza per minor coordinazione intra ed
inter muscolare. Ovviamente questo aspetto può essere allenato ma è
secondario rispetto allo scopo dell’allenamento, ossia quello di
incrementare lavoro per determinato tempo (potenza) e/o avere un margine
superiore (massimale) rispetto a ritmi sub-massimali da ripeter per più
lassi di tempo o per tempi superiori rispetto al passato vd profilo
potenza). In tal senso è importante ricordare che la cadenza auto scelta
tende ad incrementare con la potenza aerobica sostenibile proprio come
risposta anche ad un miglior adattamento ed efficienza nell’utilizzo e
reclutamento delle fibre di tipo 1, ossia quelle lente [2].
All’estremo opposto una cadenza eccessivamente ridotta induce un
maggior reclutamento di fibre veloci con conseguente 1) minor
adattamento specifico alle esigenze di gara in cui la cadenza non
scendono a livelli così ridotti 2) un maggior utilizzo e scissione di
glicogeno comporta una (leggera ma presente) deriva, con incremento, nel
valore di lattato ematico a parità di intensità ma con cadenze
superiori 3) un conseguente minor utilizzo di substrati energetici
grassi (trigliceridi muscolari o acidi grassi).
Esemplificando: un atleta che si trova a ritmi blandi (es. Zona 2, LINK
riferimenti zone e intensità) esprime una maggior efficienza ed una
cadenza auto scelta di ~75-85 rpm, all’aumentare dell’intensità e
potenza tenderà ad incrementare anche la cadenza fino ad un punto in cui
probabilmente si stabilizzerà o tenderà anche a diminuire. Questa
stabilizzazione o flessione finale è una manifestazione del passaggio da
un uso prevalente di fibre di tipo 1 ad un energeticamente meno
efficiente reclutamento ed apporto delle fibre di tipo 2. Tale passaggio
comporta un conseguente maggior affaticamento e riduzione dei tempi
sostenibili a tali intensità.
Perché questo, ad intensità comprese tra FTP/CP e Vo2max, avviene e
con quali andamenti e cinetiche (ossigeno) sarà trattato in futuro
articolo poiché un lavoro ad intensità massimale aerobica rientra in un
dominio in cui avvengono interessanti dinamiche. Motivo per cui una sola
quantificazione numerica e/o con zone, senza adeguati presupposti
fisiologici nella strutturazione di questi lavori specifici, rappresenta
spesso un esercizio solamente fine a sé stesso.
RIFERMENTI
1. Oral carbohydrate sensing and exercise performance, Jeukendrup, Asker E; Chambers, Edward S
2. Cycling efficiency is related to the percentage of type I muscle fibers, EF Coyle, LS Sidossis, JF Horowitz
The runners’ body, Ross Tucker , Jonathan Dugas, Rodale, 2009
Intensità e metabolismo
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